INTERVISTA A YANN HNAUTRA - ADD Italia ADD Italia

INTERVISTA A YANN HNAUTRA

“Autenticità, coraggio e umanità”

WISEFLOW podcast – Episodio 5 – Puntata del 16 febbraio 2021 link

STATE ASCOLTANDO WISEFLOW, IL PODCAST DEDICATO ALL’ART DU DEPLACEMENT E AL MOVIMENTO IN GENERALE. MI CHIAMO STANY BOULIFARD, EX-ATLETA DI ART DU DEPLACEMENT, ORA ALLENATORE, FACCIO DELLA MIA PASSIONE UN MODO DI VIVERE. OGNI SETTIMANA INCONTRO DELLE PERSONALITA’ DEL MOVIMENTO OPPURE VI PRESENTO DEI CONCETTI PERCHÈ POSSIATE PROGREDIRE E VIVERE MEGLIO. GRAZIE DI ESSERE CON ME OGGI, ORA RILASSATEVI E LASCIATE CHE IL VOSTRO FLOW SI ESPANDA.

Per quanto riguarda l’episodio di oggi, è piuttosto speciale perché ricevo colui che rappresenta per me la saggezza emotiva dell’ADD. Yann Hnautra è uno dei fondatori del gruppo Yamakasi, recita il ruolo di Zicmu nel film, cosa tra l’altro abbastanza bizzarra, se si conosce la passione reale di Yann per la musica. Si può ragionevolmente dire che sia puramente e semplicemente il primo allenatore di ADD al mondo. Oltre ai numerosi progetti artistici che sviluppa attorno all’ADD, Yann non ha mai smesso di allenare. Lo si può incontrare nei corsi che tiene a Parigi e Evry. In questo episodio, Yann ci parla dell’origine dell’ADD e delle ragioni profonde che lo hanno spinto a muoversi e a creare il movimento che sarebbe diventato il successo mondiale che conosciamo. Parleremo a lungo dello sviluppo della pratica durante gli ultimi 20 anni e poi discuteremo dei valori della pratica e dell’impatto che questi possono avere sulla società nel suo insieme. Come sempre, Yann distilla, durante tutta l’intervista, la sua saggezza, il suo amore profondo del mondo e dell’umanità, la sua esperienza, il suo coraggio e la sua forza, che sono fonti di ispirazione inesauribili per tutta la comunità dell’ADD.

S.B.: È una grande gioia averti nel podcast oggi, grazie Yann di aver accettato l’invito.

Y.H.: Grazie.

S.B.: Spero che vada tutto bene per te.

Y.H.: Va tutto molto bene.

S.B.: Cosa c’è di nuovo? In questo periodo di semi-confinamento e coprifuoco, cosa succede per te?

Y.H.: Questo momento lo vivo come un’auto-regolazione, mette un ritmo nella mia vita. Un ritmo diverso, ma che mi consente di gestire altre cose.

S.B.: Quindi è piuttosto positivo?

Y.H.: Sì.

S.B.: Continui a tenere dei corsi in questo momento?

Y.H.: Sì, continuo a fare corsi a Parigi con Chau e a Evry con François Terrien (direttore Add Academy Evry).

S.B.: Okay! E tu riesci ad allenarti in questo periodo?

Y.H.: Sì, il mio allenamento personale in questo momento è super. Sto vivendo un momento meraviglioso. A volte uno si allena, si allena tantissimo, ma non trova l’equilibrio; non si capisce dove possa portare nel tempo, che cosa apporti alla nostra vita, mentre io adesso sono davvero nell’equilibrio nella pratica. La vivo secondo quello che mi sta a cuore, senza cambiare la mia personalità, senza provare sentimenti troppo estremi, senza essere troppo complicato nel mio modo di vivere, senza perdere i miei valori che sono molto chiari ed espliciti. Adoro i salti da sempre, gli allenamenti sono molto specifici; mi fa piacere poter evolvere e capire tutto quello che la pratica ha seminato in tutti questi anni e poter tirare fuori qualcosa che mi si adatti bene. Mi ci è voluto del tempo e cose diverse per tirare fuori qualcosa che fosse abbastanza realistico. Mi trovo in una situazione che è più di “benessere”: nel benessere si possono avere a volte dei momenti di depressione o di dubbio, è così che io vedo il benessere; nel benessere si possono avere dei problemi fisici, ma in fin dei conti, quando sei davvero dentro ciò che sta dietro il benessere, cioè che fai le cose bene e che progredisci, alla fine hai un risultato che supera il benessere; è questo che è molto interessante. In questo modo si va verso il cambiamento, verso la visione che hai di te stesso, verso quello che poni come risultato nei tuoi salti e nel tuo piacere di muoverti, e io trovo che questo sia super.

S.B.: Super! Allora hai raggiunto il Nirvana della pratica…

Y.H.: Non è il Nirvana, perché quelli che parlano di Nirvana parlano di essere felici, ma io sono sempre stato felice; anche nell’infelicità ho sempre saputo percepire la felicità e le cose belle, e ho sempre cercato di seguire questa visione che possiedo; quindi procedo nella stessa direzione, ma con più conoscenza.

S.B.: Questo mi fa venir voglia di parlare del primo tema, che è un po’ la storia e la cronologia dell’ADD, e mi interessa veramente vederla attraverso i tuoi occhi e che le persone che ascoltano possano percepirla attraverso di essi; e per cominciare: potremmo collocare come è nata per te? Hai un ricordo che ti fa dire: “Ecco, qui inizio a praticare, ad allenarmi nell’ADD”, riesci a collocare questo momento nel tempo?

Y.H.: L’ADD è nata nel momento in cui si è deciso di darle questo nome e di condividere delle esperienze, quindi l’inizio è proprio l’incontro degli Yamakasi tra loro, in generale. È una pratica che si è costruita nel tempo; non avevamo delle soluzioni pronte, è una pratica giovane. Gli Yamakasi hanno deciso di rappresentare questo tipo di movimento, che poi ha creato tanti tipi di pratica simili da un certo punto di vista.

S.B.: Potremmo essere all’inizio degli anni Novanta?

Y.H.: Le date non me le ricordo, non sono molto pratico con le date, ma tutto è iniziato quando abbiamo deciso di condividere, di fare un’associazione, di fare dei corsi. Tutta la preparazione è stata fatta prima e non aveva nome, perché includeva tanti tipi di attività fisica, mentale e morale con un obiettivo semplice: la ricerca di verità nella pratica fisica e sul comportamento umano; e il legame tra tutti noi: il coraggio, l’idea di superarsi con la forza di carattere che si ha dentro, ma sempre in una direzione positiva, poiché si ha uno scambio reciproco nello sforzo. La creazione e l’idea di rappresentare questa pratica è stata una rivoluzione, una tappa decisiva, perché avevamo raggiunto i nostri limiti ed era difficile condividere con tutti: a volte può succedere, come a chiunque, che quando sei appassionato di qualcosa puoi chiuderti, senza volerlo. Si potevano creare delle situazioni complicate, di confusione.

S.B.: Vi sentivate già in distacco con gli altri rispetto a tutto quello che voi avevate vissuto, attraversato, costruito con il vostro allenamento?

Y.H.: Ecco, sì. Avevamo bisogno di condividere poiché era importante ed era difficile, e quello che è difficile a volte è buono, se si va fino in fondo e se si crede che quello che c’è in fondo è importante. Per noi la pratica ha aiutato a costruirci fisicamente e moralmente, ha creato dei legami nelle nostre famiglie, ha creato legami tra città, ci ha fatto scoprire il mondo prima ancora che iniziassimo a presentarla come ADD. L’Art Du Déplacement, in seconda battuta, ci ha spinti ad indagare ancora più profondamente sul corpo, perché Yamakasi significa “Spirito forte, Uomo forte, Corpo forte” e per questo è servito l’incontro tra generazioni: non si può fare individualmente.

S.B.: C’era bisogno secondo te della condivisione quindi?

Y.H.: Sì, non c’era alcuna possibilità di raggiungere quel livello da soli; era impossibile. Tu puoi essere molto forte, ma hai anche delle grandi debolezze.

S.B.: Parli di questa ricerca di verità, prima ancora di decidere di chiamarla ADD e di creare il gruppo Yamakasi. Cosa rappresentava per te allenarti? Dicevi che mescolavate un po’ di tutte le discipline, ma mi ha sempre incuriosito la ricerca di una “verità fisica”. Cosa cercavate? Cercavate i limiti delle vostre capacità fisiche?

Y.H.: Io personalmente non cercavo nulla, perché per me era già un modo di vivere, cercavamo solo di togliere tutto il superfluo e poi tenere le tecniche più utili ed efficaci e che facevano lavorare la mente e il corpo per progredire nella nostra vita personale; è stato naturale. Quando ti alleni fuori, capisci che i movimenti efficaci sono sempre gli stessi, poi puoi aggiungere un po’ di stile, ma all’inizio era molto semplice e terra a terra rispetto a questo; la parte acrobatica era quella del rilassamento e del divertimento, per lasciar andare la testa quando sei sotto pressione continua, perché fa bene svagarsi un po’ con queste cose. La parte migliore della pratica sono gli allenamenti, perché è lì che crei dei legami e delle amicizie, scopri le qualità di tutti e ti rendi conto che siamo tutti davvero forti e uguali, e abbiamo da imparare da tutti.

S.B.: Cosa intendi per allenamento? Perché penso che non tutti intendano la stessa cosa. Intendi lo sforzo fisico?

Y.H.: Per allenamento intendo l’idea di cercare di superarsi in un senso positivo, perché il passaggio all’azione può essere brutale: può farti innervosire, per esempio puoi allenarti senza batterti mai, puoi allenarti in modo da non essere mai in difficoltà, puoi lavorare con l’idea di poter sempre “mangiare”. Il nostro allenamento non era fatto per evitare le difficoltà, per evitare la scelta sbagliata o per non infortunarsi: avevamo una visione dell’uomo come estremamente forte e potente in sé stesso, una cosa che tutti hanno dentro; è per questo che siamo passati ai valori, perché se tutti sono forti non c’è bisogno di cercare nulla, bisogna solo rispettare tutti.

S.B.: Tutti avevano le capacità, la potenzialità, le risorse e voi avreste scavato in questo, giusto?

Y.H.: Sì, è quello che dà dei risultati e ha dato il livello a cui noi siamo arrivati, perché in certi momenti tutti fanno delle cose e poi tutti smettono. All’inizio eravamo tanti, ma non tutti continuano, non tutti sono “testardi” se non hanno risultati; ma noi, visti i risultati, non siamo stati “testardi”: abbiamo fatto del bene a molti, abbiamo dato del lavoro e questo per noi era già prevedibile. La possibilità di aiutare e di creare un ponte, per esempio, quando non parli la stessa “lingua fisica” (i salti, lo stile) e questo ti dà la possibilità di riflettere, di connettersi, di apprezzare delle persone che forse non avremmo mai apprezzato, di scoprire il prossimo in un altro modo.

S.B.: E questo tu lo vedevi già? Se guardiamo un po’ a quello che è oggi, ti aspettavi già che la pratica diventasse ciò che è oggi?

Y.H.: Pensavo che sarebbe andata ancora meglio di come è andata e di come è ora. Non pensavo che avremmo dato origine ad altre nuove tendenze, che però hanno rifatto il nostro stesso percorso. Siamo stati i primi, abbiamo sempre avvisato gli altri di proteggere il loro corpo, di allenarsi, di essere pazienti e puntuali. Questo non me lo aspettavo, che gli altri dovessero riscoprire tutto da capo, ma questo mi insegna che niente è completamente prevedibile.

S.B.: Ma comunque il fatto che la pratica sia così diffusa, che ci sia tanta gente che la pratica, che ci siano delle scuole, che sia al cinema e ovunque, questo lo immaginavi?

Y.H.: Io sapevo che sarebbe andata così, perché osservavo e vedevo il mondo cambiare, le difficoltà che la mia generazione doveva affrontare, vedevo che c’erano un sacco di barriere generazionali, etniche: lo sport, quando è fatto bene e senza secondi fini, riunisce il mondo intero. È una pratica che tutti hanno sognato, hanno sognato i nostri movimenti, i nostri salti, e così via; è per questo che si è diffusa. Noi non abbiamo mai impedito alla gente di pensare a come migliorarla. Sapevamo che ci sarebbero state delle difficoltà e siamo sempre stati presenti per raccomandare di non farsi male, di fare le cose bene.

S.B.: E pensi che il modo di praticare oggi sia lo stesso del vostro modo di praticare alle origini?

Y.H.: I cambiamenti più grandi nella pratica sono legati alla tecnologia e all’immagine, quindi dipenderà da come i praticanti gestiranno questi aspetti.

S.B.: Ti riferisci ad esempio a tutti i video che ci sono su internet, ecc., e all’impatto che questo ha sulla pratica?

Y.H.: Sì, anche il film per noi ha avuto lo stesso significato. I praticanti devono fare attenzione a quello che dicono e fanno, poiché può avere delle ripercussioni, creare dei messaggi negativi che si diffondono rapidamente a tanta gente. Se uno per esempio si droga e poi fa dei grossi salti, le persone che guardano le immagini penseranno che sia normale e che vada bene, mentre non è così. Può darsi che andasse bene per chi l’ha fatto, ma non per la maggior parte della gente che guarda, per la quale, in generale, è meglio “costruirsi” poco per volta. Se si hanno dei problemi (droga, alcol, e così via) bisogna toglierli poco per volta, è meglio così rispetto che andare troppo oltre sul risultato che si può avere.

L’altro aspetto che differisce, è che nella pratica di oggi ci sono molte eccellenze (di coaching, di acrobazia, ecc.) e questo attira figure da altre discipline di alto livello, e non solo la “gente della strada”, persone che hanno una visione della competizione, dello sport, del ritorno che può avere. Questo lo volevamo, quindi ne siamo responsabili, ma bisogna ripetere che bisogna fare attenzione, che può essere pericoloso e che bisogna mantenere un messaggio positivo.

S.B.: È vero che è molto “professionalizzato” ora, ci sono accademie, dei coach, degli atleti, delle persone che sono sponsorizzate. C’è tutto un mondo che fa sì che la nostra disciplina diventi un po’ uno “sport”; era questo che immaginavi?

Y.H.: Per me è un lusso, perché adesso c’è gente formata che sa occuparsi di cose come la gestione del corpo, gli infortuni, che per noi erano cose che non sapevamo “gestire”: non bisognava infortunarsi e basta. Ci sono persone che studiano altre cose e che praticando hanno portato le loro conoscenze. Sul piano umano, sul livello e sul carattere non avevamo grandi cose da imparare, ma sulla gestione del fisico, sul coaching e sugli infortuni, si è sviluppato tutto nell’incontro con le generazioni successive.

S.B.: Dove collocheresti la disciplina oggi? È uno sport? È vero che adesso la si vede sempre più in ottica sportiva, le persone fanno corsi, una, due volte alla settimana. Ho l’impressione che ci possa essere un po’ di allontanamento tra la pratica che voi vivevate, così intensa, con la ricerca di una verità, in cui eravate completamente immersi, e le persone che praticano oggi, che sono forse su un altro livello?

Y.H.: Io non vedo tanto la differenza tra ADD come stile di vita o filosofia e sport. Resta sempre un modo di vivere, fa sempre parte della vita delle persone; ognuno decide come viverla. Forse, se la gente non vede l’interesse di una pratica più “totalizzante”, come lo era per noi all’inizio e nel nostro modo di allenarci, è perché non ne abbiamo fatto capire abbastanza le ragioni (è per questo che stiamo lavorando insieme io e te per l’uscita del tuo libro), o forse perché, sulla base dei nostri valori (rispetto dell’altro, comprensione, e così dicendo) siamo stati molto comprensivi e abbiamo lasciato libertà alle persone di viverla come preferivano, e questo ha trasformato la pratica. C’era il bisogno che crescessimo anche noi, perché va sempre verificato quello che si dice e quello che si fa: a volte ci si può sbagliare; quella è forse una delle questioni su cui non abbiamo preso posizione chiara. Riguardo ai nostri allenamenti “vecchio stile”, penso che sia una fase che corrisponde a una necessità, che tutti hanno in un certo momento, di superare i propri limiti, di capire il mondo e di sentirsi vivi; anche se la gente lo fa come sport, questo li fa sentire vivi, e quindi è un modo di vivere. La nostra pratica è buona perché va in tutte le direzioni: sali, scendi, rotoli, utilizzi al massimo il tuo corpo e non hai limiti nella visione della tua progressione personale.

S.B.: È vero che questa è una ricchezza, ma ho una domanda specifica allora: è vero che con il fatto che la disciplina diventa sempre più uno sport, con allenatori, scuole, regole e, domani, sempre più gare, si rischia di chiudere questa prospettiva, mentre oggi, come dicevi, è molto aperta rispetto a quello che ognuno può realizzare nell’ADD, perché nella pratica impari a conoscerti, all’interno fai la tua ricerca personale. Domani, con delle regole, delle gare fisse, come lo “speedrun” per esempio, si dirà: devi essere il più rapido da un punto A ad un punto B e conterà solo la velocità, il modo di mettere i piedi: l’efficacia del movimento sarà davvero prioritaria; questo potrebbe impedire di raggiungere altre cose. Non so come tu veda tale tendenza, ovvero il fatto che si possa “restringere” quello che è possibile trovare dentro la disciplina.

Y.H.: Dipende tutto dal coraggio e dalla curiosità della gente: una persona che pratica può fermarsi al movimento sportivo standardizzato, ma se è curioso esplorerà il movimento al di là dello sport e del successo. Ci sono un sacco di cose da imparare (rinforzare il corpo, trovare un equilibrio fisico, capire come nutrirsi, ecc.) e ci vuole tempo. Le gare possono essere prese come un allenamento, senza dimenticarsi  però lo scambio umano con l’altro, di riflettere con lui sulla pratica, e così via. Se poi nel frattempo si vince qualcosa bene, basta che resti un mezzo e non un fine.

INTERMEZZO MUSICALE

S.B.: Mentre registravamo Yann ha avuto questa idea di offrirvi un pezzo di chitarra e abbiamo scelto un pezzo che abbiamo registrato insieme quest’estate a Courchevel, in cui ho incastonato dei piccoli passaggi dell’intervista. Spero che apprezzerete questo regalo.

Y.H.: È importante sapere che io vengo da due isole, Réunion e Nouvelle Caledonie. Ho dei punti di riferimento nella vita che non sono dei successi economici, ma successi umani, nel loro comportamento e nella loro vita. I successi umani sono davvero un’altra cosa rispetto ai soldi.

Y.H.:  La pratica mi ha aiutato a capirmi meglio, a capire le mie forze interiori ed esteriori, il senso della vita. È un modo di esprimersi.

Y.H.: Il coraggio è resistere, mai abbandonare. Significa spesso prendere la via più difficile per comprendere le cose; il coraggio è ascoltare. Spero di rappresentarlo.

S.B.: Cosa immagini per i prossimi dieci anni? Il film Yamakasi ha  vent’anni: si vede il cammino che è stato percorso da allora. Come vedi i prossimi vent’anni?

Y.H.: Per i prossimi vent’anni per me il punto centrale è il coraggio. I futuri praticanti avranno coraggio e intensità o la vita farà loro scoprire che devono essere coraggiosi? Avranno il coraggio di andare oltre (cita una canzone che ha scritto, “Oltre le parole”)? Aldilà di quello che si dice, oltre il pensiero, trovare la soluzione che non si conosce, che aiuterà tutti senza screditare te stesso? È molto dura, ma ogni generazione ha questa opportunità: la possibilità di essere coraggiosi senza essere per forza brutali. Se si diventa brutali è perché ha “vinto” la vita, poiché essa ti insegna che dalla nascita devi sapere che a un certo punto devi fare il tuo sforzo. Dobbiamo far capire questo spirito, che noi stessi abbiamo avuto: per questo non si può pensare a chi sarà il migliore, cosa succederà, chi vincerà. L’importante è coltivare questo coraggio, negli allenamenti, negli scambi, nei legami familiari. Tutte le credenze, tutte le conoscenze e tutte le idee possono cambiare, la tecnologia anche, ma se ci si mette al lavoro e si cerca di andare oltre, si troverà sempre la soluzione perché le cose vadano meglio; ma questo richiede coraggio. Il coraggio a volte purtroppo è sorpassato da molti sentimenti e da momenti difficili; così come da momenti di felicità, ma per averli bisogna provarci.

S.B.: Cosa immagini a livello di struttura, quindi? Vedi l’ADD insegnata nelle scuole? Prevedi dei campionati mondiali, l’ADD alle Olimpiadi? Visto che ci sono delle cose che non ci si immaginava e che sono successe nella pratica…

Y.H.: Nella pratica, l’ADD è un fenomeno culturale che dialoga con le istituzioni e per me è già ovunque: è la grande sfida. L’ADD è già praticato nelle scuole, in tanti contesti, sarebbe bello se si andasse un po’ oltre perché potrebbe portare qualcosa in più a bambini e adulti. Porto avanti il mio progetto di diffondere l’ADD come sport e pratica, per trattenere e trasmettere quello che ho percepito come positivo nella disciplina.

S.B.: Quindi ancora un’ulteriore messa a punto, ovvero avere degli insegnanti che sintetizzino bene questo e che riescano ad insegnarlo: è quello che ti auguri?

Y.H.: Penso che lo facciano già. Ora sono soprattutto i nostri partner istituzionali che dovrebbero capire e accettare l’apporto profondo dell’ADD e riflettere sul fatto che si può fare ancora di più e ancora meglio.

S.B.: So che tu hai questa visione dell’ADD molto positiva, fatta di condivisione, centrata sull’insegnamento e sull’altro. Questo mi porta al secondo tema che volevo affrontare con te, quello dei valori, dell’impatto e dell’interesse dell’ADD nelle nostre vite quotidiane, fuori dagli allenamenti e di ciò di cui abbiamo parlato prima. Ne abbiamo già un po’ parlato: nell’ADD si impara a superare degli ostacoli e nella vita ci sono degli “ostacoli”. Ci sono impedimenti che si possono superare; in questo momento c’è un ostacolo principale, che è il Covid, che ci blocca e che provoca una crisi sanitaria mondiale; c’è anche una grande sfida ecologica che stiamo attraversando come specie. Quindi esco un po’ dalla pratica del movimento, ma vedi un ruolo dell’ADD nella nostra evoluzione come umanità? Pensi che questa disciplina possa avere un ruolo?

Y.H.: L’uomo ha un ruolo, e siccome è una disciplina che parla dell’uomo, sì: più o meno volontariamente abbiamo l’obbligo di fare attenzione a tutto ciò che è vivente. È una piattaforma dove le persone possono scoprirsi e creare, sentire la vita, ciò che li circonda, i propri problemi, le proprie risorse, incontrare gli altri. La crescita umana è la cosa più importante. Io mi sono accorto che la mia difficoltà era quella di non capire quello che avevo attorno, con i miei problemi di lingua e di socialità ad esempio, e di allontanarmi,  chiudermi, avere un carattere molto più brutale di adesso, con la facilità a reagire in modo non sempre dolce. La pratica mi ha insegnato che bisogna fare degli sforzi, cambiare tutto. Essere felici è semplice: se non ami fare una cosa bisogna farla, perché vuol dire che ti insegnerà qualcosa. Ho scoperto che il mondo è bello. Ho scoperto che tutte le situazioni in cui si possono trovare le persone, che siano ricche o povere, sono meravigliose, e le ho sempre incontrate in circostanze in cui erano più che perfette; come dico spesso “con delle imperfezioni perfette”. Se chi pratica non riflette sulle persone che incontra o allena, allora non ha senso.

S.B.: Praticando l’ADD ti sei costruito anche come individuo, attraverso l’allenamento, la disciplina…

Y.H.: Sì, praticando mi sono costruito anche come individuo, in un terreno esterno dove c’era la possibilità di incontrare sia il negativo che il positivo, e noi abbiamo scelto di tenere solo il lato positivo.

S.B.: Il fatto di praticare all’esterno e di entrare in contatto con le persone è forse una delle forze dell’ADD…

Y.H.: Il primo riconoscimento del movimento è venuto dalle persone che ci vedevano, non da noi stessi. Dicevano “è bello”, a volte faceva loro paura, ma poi ci vedevano ripetere e ci dicevano “ah, siete coraggiosi, continuate così”.

S.B.: Avevate questo scambio costante con gli abitanti dei posti che vi circondavano e questo nutriva anche la disciplina, giusto?

Y.H.: Sì, esattamente.

S.B.: È interessante questo! Cosa pensi della disciplina che ora si pratica sempre più nelle palestre?

Y.H.: Ora stanno tutti fuori per il Covid! Le altre discipline dovrebbero venire a capire da noi come stare fuori, sarebbe uno scambio utile a tutti. Stare all’esterno ti mette in contatto con scambi sempre interessanti, non importa da chi vengano. A volte le persone non si allenano, ma si allenano guardando, a volte è divertente.

S.B.: È vero. Vedere la disciplina non lascia indifferenti, tutti si sentono interpellati, che siano anziani che trovano la cosa incredibile o che ricordano delle esperienze, o bambini che sono naturalmente portati a imitare; hai ragione. È questo che cerchi di condividere quando alleni?

Y.H.: Io personalmente lavoro tanto sul coraggio, perché anche se si lavora su una cosa effimera, poco per volta si diventa coraggiosi in tutto e si impara a faticare. Si diventa qualcuno che non subisce le cose. Quando scopri il coraggio, scopri anche di avere delle capacità fuori dalla norma e di essere straordinario.

S.B.: Quando dici coraggio, intendi la forza di impegnarsi?

Y.H.: Esattamente. Il coraggio significa la forza personale e la capacità di scoprire che si è forti e incredibili (anche su cose stupide: a volte una capriola può servire più che saltare un ponte, perché magari genera qualcosa in chi l’ha fatto). Io capisco abbastanza al volo in quali ambiti ognuno può progredire velocemente. Bisogna passare per quelle situazioni in cui una persona si trova a suo agio e poi scoprirà tutto il resto, e potrà continuare anche da sola, perché a quel punto è a suo agio. È importante essere centrati sulla persona e non su quello che si vuole trasmettere (il movimento, il concetto), connettersi a lei e farle capire la forza che ha dentro di sé.

S.B.: Mi permetto di dire che questo è quello che rende gli allenamenti con te così atipici e particolari. Penso che le persone lo sentano allenandosi con te. Magari non si capisce subito, ma si sente che succede questa cosa dentro di noi, che questa energia ci riporta a noi stessi e alla nostra forza. Per quelli che non hanno ancora avuto la fortuna di allenarsi con te, li invito caldamente a farlo perché è davvero qualcosa di molto forte.

Ultima domanda, che faccio a tutti gli intervistati: sai che il nome di questo podcast è Wiseflow, “saggezza in movimento”. Vorrei sapere se hai tu una definizione di “flow”? Cosa rappresenta per te il “flow”?

Y.H.: “Saggezza in movimento”! Alla fine è la definizione che ho sentito che mi ha dato la spiegazione più precisa di quello che ho visto e sentito dappertutto; e nella rappresentazione di te, come persona, è la migliore rappresentazione che conosco come persona. Di quello che può essere. Ci sono persone che possono essere forti, muoversi bene, ma non hanno una riflessione completa di quello che questo può generare o di quello che possono scambiare; quindi sì, “saggezza in movimento” mi piace. Da quando ho cominciato è una delle tre parole che guida la mia vita. Non aderisco alla definizione solo per piacere, ma perché penso che sia esattamente così.

S.B.: Grazie! Quindi il flow per te è “saggezza in movimento”.

Y.H.: Sì. Se non ce l’hai ti romperai una gamba e farai una piccola esperienza di vita.

S.B.: Si può imparare anche così, ma quello che io cerco di far passare è l’importanza della ricerca del senso, del perché si fanno le cose e del perché ci si muove, la riflessione che sta dietro il movimento.

Y.H.: Vedi, non avrei potuto dirlo meglio! Non devo mica dare delle spiegazioni su una cosa che qualcuno ha spiegato meglio di me.

S.B.: Siamo d’accordo su molte cose, anche sulla definizione di flow. Grazie Yann per aver condiviso questa discussione con me, è stato molto bello.

Y.H.: È stato un privilegio, grazie a te.

S.B.: Ci vediamo molto presto. Se qualcuno vuole contattarti, quale mezzo suggerisci?

Y.H.: Mi trovano un po’ dappertutto ormai, Facebook, Instagram… e a Evry sicuramente. Alla fine se incontri qualcuno che pratica l’ADD, si può sempre trovare una soluzione per incontrarsi.


Si ringraziano

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